La fiaba come metafora

Appunti per una madre adottiva  

Tratto da una lettera per i genitori adottivi di Antonella Agosti   


FIABA COME METAFORA

La “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” dello scrittore Luis Sepùlveda, rappresenta una splendida metafora, ricca di spunti di riflessione sui significati emozionali più profondi dell’avventura adottiva, capace di rappresentare perfettamente ed in modo del tutto originale i ruoli e le responsabilità investite dai protagonisti della triade adottiva. Questa sua valenza pertanto la rende potenzialmente adatta ad essere strumento di approfondimento di alcune tematiche relative all’argomento come le differenze fisiche, la funzione dei soggetti che gravitano attorno al nucleo, l’importanza per i genitori di insegnare ai propri figli “a volare” ossia a rispettarne la natura e l’esigenza ad essere se stessi anche se questa sembra attaccare le loro certezze. 

La storia è ambientata ad Amburgo, dove un gabbiano di nome Kengah, ignorando gli ordini del capo stormo, si tuffa in mare rimanendo intrappolato in una macchia di petrolio. Riesce in seguito a decollare, ma poco dopo precipita sul balcone di una casa in cui vive un gatto di nome Zorba.
Il gabbiano sta per morire, e chiede a Zorba di occuparsi dell’uovo che sta per deporre e in seguito del gabbiano che nascerà. Gli fa anche promettere di insegnare al nascituro l’arte del volo.  Zorba rimase sul balcone, accanto all’uovo e alla gabbiana morta… Si sentiva ridicolo… Pensava a quanto lo avrebbero preso in giro i due gatti rissosi se per caso l’avessero visto.    Ma una promessa è una promessa, e così,…si addormentò con l’uovo bianco e macchioline
 azzurre ben strette contro il suo ventre nero. Le promesse sono impegni e fu così che grazie all’esperienza del Colonnello, il gatto più anziano, all’intuito di Segretario, quello più astuto e alle conoscenze di Diderot, il più colto, Zorba si impegnò a tener fede alle sue promesse.  


L’ATTESA  

La coppia in attesa adozione vive momenti di eccitazione e speranza alternati ad altri di sconforto e sfiducia  nei confronti della realizzazione del loro grande desiderio. E’ un percorso a volte percepito lungo e faticoso quello che conduce all’adozione ma indispensabile per un’approfondita ed accurata elaborazione del proprio sé, in quanto individui ed in quanto coppia in attesa di diventare famiglia. 

I tempi della  generazione biologica li stabilisce la natura, quelli delle generazione adottiva risponde a dinamiche ed esigenze in parte puramente burocratiche ed in parte scandite dai professionisti che operano l’intermediazione i quali cercano di realizzare l’intento del migliore abbinamento possibile, costruendo passo passo la consapevolezza  e tutta la preparazione necessaria atta a garantire la più alta percentuale di riuscita perché in questi casi il fallimento assume significati drammatici in quanto va ad aggiungersi ed a riaprire le precedenti dolorose ferite emotive accusate dal bambino, fratture queste che potrebbero non cicatrizzarsi mai più.

Per molti giorni il gatto nero grande e grosso rimase sdraiato accanto all’uovo, proteggendolo e riavvicinandolo con tutta la delicatezza delle sue zampe pelose ogni volta che con un movimento involontario del corpo lo allontanava di un paio di centimetri.  Furono giorni lunghi e pieni di disagi, che ogni tanto gli parevano completamente inutili perché gli sembrava di prendersi cura di un soggetto senza vita…Covare non era stato facile per il gatto nero grande e grosso.   


L’INCONTRO 

Quando finalmente arriva il momento dell’incontro, tutta l’incertezza e la paura dell’ignoto paiono dissolversi miracolosamente per lasciare posto alla realtà. Mentre i coniugi, si sentono subito pienamente genitori, per il bambino lo status di figlio verrà assunto molto più tardi quando, cioè, sarà stato in grado, con l’aiuto dei nuovi genitori, di rielaborare non solo il distacco da una realtà che, per quanto negativa, rappresentava una certezza, ma anche tutto il vissuto precedente alla sua adozione.   

La sera del ventesimo giorno Zorba stava dormicchiando e non si accorse che l’uovo si muoveva… lo svegliò un solletichino alla pancia. Aprì gli occhi e non poté evitare un sussulto quando si accorse che, da una crepa nel guscio, appariva e scompariva una puntina gialla. Zorba prese l’uovo fra le zampe anteriori e così vide che il pulcino beccava fino ad aprirsi un varco attraverso il quale fece capolino la sua minuscola testa umida e bianca. ‘Mamma!’ Stridette il piccolo gabbiano.  


INIZIARE LA VITA INSIEME 

Il nuovo arrivato viene immediatamente percepito dai genitori come un membro della famiglia con cui socializzare  le proprie abitudini quotidiane. 

Accade così che in poco tempo il bambino  impara perfettamente la lingua, assumendo i ritmi familiari e le abitudini alimentari come se sentisse il bisogno di fondersi con il nuovo ambiente, passando attraverso la negazione della sua identità per giungere ad integrare la sua nuova esperienza di vita con il passato.   

Ho fame” stridette arrabbiato. “Mamma ho fame”. Zorba tentò di fargli beccare una patata, qualche croccantino... Fu tutto inutile. Il piccolo becco era molto morbido e si piegava al contatto con la patata. Allora, in preda alla disperazione, si ricordò che il pulcino era un uccello e che gli uccelli mangiano gli insetti… catturò cinque mosche e un ragno. Il pulcino divorò tutte e cinque le mosche ma si rifiutò di assaggiare il ragno. Soddisfatto, fece un ruttino, e si rannicchiò stretto al ventre di Zorba ”ho sonno mamma” stridette. Fortunata crebbe in fretta, circondata dall’affetto dei gatti. Diderot sfogliava libri su libri cercando un metodo con cui Zorba potesse insegnarle a volare “E perché devo volare?” strideva Fortunata tenendo le ali ben strette al corpo. “Perché sei una gabbiana ed i gabbiani volano”, rispondeva Diderot, “Mi sembra terribile che tu non lo sappia”. “ Ma io non voglio volare. Non voglio nemmeno essere un gabbiano…voglio essere un gatto ed i gatti non volano”.   

Rappresenta una vera tentazione, la possibilità, per i genitori, di colludere con la richiesta del figlio di negare la realtà dell’adozione. Sembrerebbe risolutivo, infatti, poter cancellare un passato di sofferenze e frustrazioni immaginando di fare come se fosse “tutto naturale” assecondando il proprio desiderio di fusionalità e quello del bambino. Anche Fortunata si sentiva un gatto ma Zorba non si è mai sentito un gabbiano.   

Commosso dal pianto della gabbianella, che non sapeva più chi fosse (era un gatto o cibo per gatti?), Zorba le leccò le lacrime e le disse: “Sei una gabbiana. Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre ma te si. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi volare” … ”Volare mi fa paura stridette Fortunata” ... ”Quando succederà io sarò con te” miagolò Zorba.   


UN PREZIOSO AIUTO PUO’ GIUNGERE DALL’ESTERNO   

E’ determinante accettare, o meglio, cercare l’aiuto di chi può osservare le cose da una diversa prospettiva; è quanto fece Zorba quando si accorse di non essere in grado di insegnare a volare alla gabbianella e decise pertanto di “infrangere il tabù” rivolgendosi ad un umano, uno che “forse non sa volare con ali di uccello, ma ad ascoltarlo, ho sempre pensato, che voli con le parole come disse Zorba  dimostrando molta umiltà e consapevolezza dei propri limiti.

Per un genitore adottivo ammettere di aver bisogno di aiuto per risolvere una situazione complessa non è sempre facile e può essere erroneamente vissuto come una dichiarazione di inadeguatezza e di fallimento del proprio ruolo; per questo le richieste di aiuto sono spesso tardive, quando, ormai, il problema è  drammaticamente degenerato. 

Il compito del “terzo”, sia esso un professionista, un amico o un membro della famiglia allargata, è quello di stimolare i genitori a vedere le cose da un altro punto di vista, isolando momentaneamente ansie, aspettative e fantasie che solitamente i genitori proiettano sul proprio figlio, per dare spazio al tentativo di capire ciò di cui  ha veramente bisogno il bambino, attraverso un ascolto profondo. E’ fondamentale che il genitore impari a conoscere le vere necessità del  figlio, solo così potrà “insegnargli a volare” passando attraverso un autentico riconoscimento non solo della sua diversità ma anche della consapevolezza  del fatto che egli è separato da lui. Tutto ciò nasce da un processo di destrutturazione-ristrutturazione del campo affettivo-cognitivo che riguarda anche la genitorialità naturale.  

Zorba in un giorno di pioggia si fece aiutare da un umano e portò Fortunata sul campanile . . . ”Ho paura Mamma!” stridette Fortunata…”Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. E’ acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali” miagolò Zorba… Fortunata scomparve alla vista…

”Volo Zorba! So volare! Stridette euforica dal vasto cielo grigio”. Zorba rimase a contemplarla finché non seppe se erano gocce di pioggia o lacrime ad annebbiare i suoi occhi gialli di gatto nero grande e grosso, di gatto buono, di gatto nobile, di gatto del porto. Solo quando Fortunata spiccò il volo Zorba scoprì una grande verità “Vola solo chi osa farlo”. 

E’ vero anche che vola chi viene messo in condizione di farlo e l’amore di Zorba è riuscito addirittura a far si che si immedesimasse tanto nella gabbianella da riuscire a farle riconoscere e desiderare ciò che è maggiormente apprezzato dalla sua specie come il piacere del contatto con l’acqua, impensabile per un gatto.    


<<Arrivati qui, cara mamma e caro papà,

potremmo far coincidere l’istante del volo con la nascita della gabbianella, ovvero il riconoscimento della sua individualità nel rispetto delle sue origini. 

Il bambino, la cui personalità si va formando, sente la necessità di una completezza di riferimenti, di conoscenza, per quanto sia possibile, delle vicende della sua origine. E questo è perché l’immagine mentale della propria origine costituisce un elemento fondamentale del suo senso d’identità. 

Io sto cercando con il vostro aiuto questa immagine: mettendoci in contatto con qualcosa di profondo che è nel mondo interno di S. come residuo di esperienze appartenenti ai primi periodi della sua vita, possiamo a poco a poco farla emergere con forma e significato.           

Il percorso di arteterapia che sta affrontando S. vuole essere un aiuto esterno tanto alla famiglia che la ama la coccola e la considera parte integrante, quanto al bisogno che la bimba stessa ha di ricostruire un legame con il suo passato. Un legame che conosce ma che rimane inconscio a causa della memoria implicita (Freud: tutto quello che è percepito viene depositato nell’inconscio e li, rimane) che ha lavorato nella tenera età della bimba. 

Attraverso le esperienze sensoriali (il disegno è un derivato grafico molto vicino al pensiero onirico – Bion: apprenderà dall’esperienza) che all’interno del mio setting prendono forma, S. ha modo di ‘riappacificarsi’ con il suo passato, con la sua madre originaria che incolpa di aver abbandonato. Stiamo parlando di un livello di ascolto profondo e non razionale. Solo il recupero, anche solo fantasmatico del mondo primitivo e, quando possibili, delle sensazioni primordiali, permette la costruzione di un’identità sicura della bimba. 

Quando la madre, di cui abbiamo imparato a riconoscere la voce già mentre eravamo nell’utero, sparisce improvvisamente poco dopo la nascita, si crea una frattura (difficile processo di lutto per la perdita subita). Un neonato, allontanato dalla madre naturale, prova dolore esattamente come chiunque si separi dalla persona a cui è più legato ma è in grado di affezionarsi prontamente a chiunque se ne prenda cura sin dai primi giorni di vita. 

S. ha probabilmente dovuto affezionarsi a più ‘madri’ (suore, tata) fino all’età di 7 mesi. Questo comporta, nonostante la bambina, con voi, sia serena, amata e curata, un senso di forte abbandono. Qui si spiegano gli atteggiamenti provocatori e ribelli verso la regola, il limite. 

S. non è naturalmente consapevole di questo ma, insieme, dobbiamo lavorare sulla rassicurazione abbandonica (io) e sull’accettazione e fiducia (voi).

Lei, come ogni persona che ha subito un trauma e non lo rielabora, tenderà sempre a riproporre basi che la portano a ‘ritrovare’ il trauma, in questo caso, l’abbandono. Lei inconsciamente si sente degna di non essere amata e si chiede perché è stata rifiutata. Importante per la bambina è che ha una ragione razionale che la aiuta a credere che circostanze altre, come la morte,  siano accadute non per sua responsabilità e partiamo quindi con qualche punto di vantaggio. 

Voi siete le figure di attaccamento, protezione sicurezza della bambina, lei lo sa, e razionalmente lo riconosce. Ma la bimba soffre, non per causa vostra ma per un ‘tormento inconscio’ a cui non sa dare un nome ma che la disturba: l’abbandono (perché i miei genitori mi hanno abbandonata? Perché non mi hanno ritenuta degna del loro amore? –un trauma, anche con l’aggiunta della mancata identificazione con i nuovi genitori non potendo condividere nemmeno i tratti somatici). E’ importante la vostra apertura con S. ad un dialogo continuo, state permettendole un migliore assorbimento del trauma dell’abbandono, capace di evitare, o quanto meno attenuare le violente crisi adolescenziali. Continua ad essere importante il rimando che date alla bimba: di averla attesa e desiderata tanto nel cuore ‘ti abbiamo desiderato, voluto e amato. Sei nata da una donna ed un uomo che non potevano crescerti ma che ti hanno tanto amato da volere che lo facessimo noi, noi ti abbiamo voluto ed ora sei il nostro tesoro’. 

E’ importante che S. percepisca l’accoglienza e l’affetto da parte vostra verso ‘quella persona’ che non ha voluto o potuto occuparsi di lei ma ha ugualmente desiderato darle una possibilità di crescere con dei ‘veri genitori’: voi. Solo così lei potrà pienamente sentirsi accolta e vivere serenamente il processo di individuazione. 

Sperando di aver fatto cosa gradita 

Resto a disposizione 

Antonella>>


Sei venuto al mondo,
ma il mondo non è venuto da te.
Sei nato da un appuntamento mancato con i tuoi genitori
e con il destino.
Fatti forte allora, sei hai perso la strada,
la strada troverà te,
il miracolo dell’adozione
ti aspetterà al primo bivio della vita,
ti darà mani, volti e mondi nuovi da accarezzare.
(Fabrizio Caramagna)

Con Amore

Antonella